Il singolo utente social diventa oggi il vero e unico artefice del proprio destino, potendo utilizzare e sfruttare la vastità delle risorse e delle interazioni web, per aumentare la propria popolarità e la propria capacità di farsi conoscere e attrarre clienti.

L’Association of National Advertisers statunitense ha creato una classificazione dei social influencers che si distinguono in tre categorie:

nano e micro influencer che hanno da 50 a  25.000 followers;

influencer di medio livello che hanno tra 25001 e 100000 followers;

macro influencer o big influencer con più di 100000 influencers.

Tuttavia comunemente nei reparti di social marketing delle società i micro influencers sono considerati coloro che hanno un seguito tra 10000 e 99000 followers mentre i nano influencers hanno dai 1000 ai 9999 followers.

A differenza dei big influencers che appaiono come star irrangiungibili, i micro e i nano influencers sono uno di noi e quindi ancora più credibili.

Oggi la nuova frontiera della pubblicità è attraverso gli influencers virtuali.

Gli influencers virtuali sono personaggi antropomorfi creati digitalmente  e gestiti da algoritmi di intelligenza artificiale.

Per le aziende il ricorso agli influencers virtuali potrebbe portare notevoli benefici con la capacità di esercitare il controllo sui contenuti social sviluppati dall’influencer ed evitare il rischio che da condotte non consone assunte dall’influencer fisico si determini per associazione un danno reputazionale per il brand rappresentato.

Va tenuta presente poi la necessità che il messaggio pubblicitario sia trasparente e sia comunicato in modo tale da evitare che l’influencer nasconda la natura promozionale del proprio messaggio.

Nell’ambito degli interventi di moral suasion l’Autorità Garante ha fornito agli influencer indicazioni precise circa la necessità di fare un uso più intenso di avvertenze circa la presenza di contenuti pubblicitari nei post pubblicati  sul proprio profilo Instagram quali #ADV, #advertising, #pubblicità, #prodottofornitoda.

A prescindere che si voglia affidare la promozione di un prodotto o di un servizio ad un influencer digitale occorrerà  pertanto regolare il rapporto contrattuale tra l’azienda ed il partner tecnologico o l’influencer persona fisica con particolare attenzione all’oggetto, all’esclusiva, alla proprietà dei contenuti, alla riservatezza, alle garanzie, alla durata del contratto, alla cessazione, ai social media e alla pubblicità ingannevole.

Gli Youtubers sono persone di solito giovani iscritte alla comunità del sito Youtube (ma che agiscano anche su altri social network) che caricano video originali in cui esibisce una sorta di spettacolo personale.

Gli youtuber interagiscono e realizzano i contenuti sulla base delle richieste e dei commenti dei propri followers grazie ad una piattaforma web 2.0 (come Youtube), ossia un web dinamico che viene utilizzato per indicare tutte quelle applicazioni web che interagiscono attivamente con l’utente.

Il Regolamento europeo 2016/679 (GDPR) prevede una soglia minima di 16 anni per aprire un profilo social, con la possibilità agli Stati di stabilire una differente età. In Italia la soglia minima è di 14 anni.

Per chi ha un’età inferiore l’iscrizione è comunque consentita a condizioni che i genitori prestino il proprio consenso.

Considerata l’età dei baby influencers la tutela deve essere massima.

I principali punti di vista da tenere in considerazione sono: quello lavorativo, quello economico, quello relativo alla privacy, al diritto di immagine e alla reputazione.

Il Garante privacy e l’AGCOM stanno lavorando ad un Codice di condotta per l’adozione da parte delle piattaforme digitali di sistemi di verifca dell’età dei propri utenti.

Tale vuoto normativo potrebbe essere colmato in parte attraverso il richiamo alla legge sul lavoro minorile (l. 677/1977) la quale vieta qualsiasi prestazione al di sotto dei sedici anni con l’eccezione di lavoro per impieghi culturali, artistici, sportivi, pubblicitari o nel mondo dello spettacolo. La legge prevede l’autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL) per evitare che le attività non pregiudichino e mettano in alcun modo a rischio la sicurezza, l’integrità psicofisica e la frequenza a scuola del minore.